| Da Metallized.it:
3 giorni di concerti (tra cui il Metallived), mangiate e bevute d’autore (tra cui le raffinate grappe di Bassano), non potevano impedirmi di rivedere per la quinta volta gli Haggard, fantasmagorica compagine sympho/orchestral dedita ad un folk metal dai fortissimi sapori basso-medioevali (e rinascimentali). Per l’occasione si torna in quel di Milano, piazza che li aveva visti uscire perdenti dopo il deludente concerto di settembre 2008, riscattato -a soli 2 mesi di distanza- dalla buona prova di Piacenza. A dire il vero non ho mai dubitato della qualità degli spettacoli dei (si fa per dire) tedeschi e la maggior meraviglia (in senso negativo) fu proprio quella di incrociarli in una situazione così poco efficace, con suoni totalmente sbilanciati (il Rolling Stone, locale dall’acustica controversa, non aveva però tutte le colpe) ed atteggiamenti artefatti che mi avevano letteralmente rovinato la serata. D’altra parte è chiaro che realtà alla Haggard rappresentino per il panorama europeo dei veri e propri bon-bon da pasticceria, data l’unicità della forma e quella ancor più quella evidente dei contenuti, ragion per cui in questo Era Divina Tour (che prende il nome da una cofanetto celebrativo dei 20 anni di carriera -costosissimo- contenente una versione remasterizzata di And Thou Shalt Trust… The Seer ed un DVD/documentario davvero poco interessante), non è stata loro lesinata una delle location più ambite della zona: il Live Club di Trezzo d’Adda.
È domenica sera e come di consueto la fine del weekend potrebbe riservare qualche sorpresa, ma non è così. Il locale è abbastanza pieno (anche se non gremito) e l’atmosfera, viste anche le magliettazze più variegate indossate dagli spettatori, è di quelle che farebbero gridare alla tanto sperata unità del mondo metal. Ad aprire la serata i bravi e giovani Furor Gallico che divertono e sono anche parecchio applauditi da un parterre che li considera ben più di un riempitivo. Il loro sound celtico è molto accattivante, zeppo di strumenti tipici e melodie interessanti, ma altrettanto diretto e schietto, grazie al guitarism poderoso di Ste e Oldhan ed al vocalism tirato, impostato sul growling profondissimo di Pagan. Merogaisus (bouzouki, tin e low whistle), Becky (arpa) e Laura (violino) -i primi due in qualche modo coinvolti con gli oramai popolari Folkstone, lui nelle recenti vesti di chitarrista aggiuntivo/sostitutivo nelle date promozionali di Damnati Ad Metalla, lei quale componente stabile nell’omonimo debut album-, producono la sovrastruttura folkish necessaria alla band per posizionarsi nel panorama di riferimento; buona la sezione ritmica che senza ostentare virtuosismi tiene banco ai colleghi di prima linea. Purtroppo i suoni zoppicano un po’, non per colpa dell’impianto (che invece durante gli Haggard friggerà un paio di volte), ma perché assettati sul consistente multilinea degli headliners e non centrati sulle caratteristiche dei monzesi. Ancora da migliorare l’atteggiamento scenico on stage: i ragazzi, ornati da kilt e trucco bellico, sembrano tutti molto tesi e raccolti sugli strumenti; Pagan pare consapevole e, con un body-moving schizzofrenico, cerca di concentrare su di se l’attenzione del pubblico; tra gli strumentisti il più vivace è senza dubio Merogaisus che, da animale da palcoscenico quale si è ultimamente dimostrato, ostenta un’aria spavalda ed apparentemente incurante del momento. Li avevo già visti e mi erano sembrati molto più disinvolti e giocosi, ma si sa: un palco vasto come quello del Live Club di Trezzo d’Adda può intimorire chiunque e creare anche qualche problema nell’occupazione degli spazi. Peccato veniale. Detto questo, ciò che veramente conta è la musica, aspetto in cui i Furor Gallico mi hanno convinto. Cathubodva, The Gods Have Returned e Medhelan sono brani che producono adrenalina, mentre la chiusura con Banshee (brano inedito) mi lascia un po’ interdetto, ritenendo più adeguato un congedo su ritmi noti alla La Caccia Morta; ma sono dettagli da recensore! La band suonerà tra qualche giorno al Keller di Curno: coccolati dall’abbraccio dei fan più intimi e posti in un contesto ancora più amichevole, mi aspetto la consacrazione.
The show must go on. Il tempo di salutarmi con il collega NeuRath, anch’egli fiondatosi a Trezzo in questa piovosa nottata d’aprile, e via: sulle note dell’intro The Origin si spalanca il sipario del Live dietro cui i 15 musici attendono composti. Tales Of Ithiria trova subito spazio con la title-track, ma il susseguo lancia la band in un’autocelebrazione dei magnifici anni che furono. The Observer, In A Fullmoon Procession, Per Aspera Ad Astra, Eppur Si Muove e The Final Victory agitano il pubblico che corrisponde con entusiasmo la scelta. Il più recente full-lenght viene rappresentato intramezzando The Sleeping Child e Upon Fallen Autumn Leafs ai grandi capolavori, prima di chiudere con le quasi dovute In A Pale Moon's Shadow ed Awaking The Century. Raccontato così il concerto sembrerebbe scontato, abituale, in una parola “normale”, cosa che può essere vera solo postulata la grandezza di artisti del calibro degli Haggard. Le canzoni sono mediamente molto fedeli alla studio-version ed anche lo spettacolo assolutamente fuori canone, vuoi per le implicazioni tecnico/esecutive, vuoi per la qualità che ne consegue. La formula, a dire il vero, è sempre la medesima: divertente per chi non conosce l’impianto live degli Haggard, stantia ed abusata per chi come me ha già avuto modo di assistere a molti concerti. Cito due ricorrenze su tutte: l’oramai stranota passeggiata tra i fan durante l’esibizione di Herr Mannellig (ho visto facce stranite, segnale del fatto che in realtà molti non si aspettavano una tale goliardia) e la prolissa e sfiancante presentazione dei membri della formazione al ritmo di Sad But True. Unica novità rispetto alle date italiane a cui avevo già assistito l’inspiegabile assenza di De La Morte Noire che mi ha lasciato un (bel) po’ di amaro in bocca: mere questioni “sentimentali” curate con il CD originale riposto nel bracciolo della mia auto.
Ma parliamo in dettaglio di questi paladini del medioevo: qualche critica, purtroppo, è ascrivibile anche a loro. Asis, Claudio e Giacomo sono abbastanza disinvolti (prova ne è qualche partitura “free”), forti del sostentamento dei 9 strumentisti classici scesi in campo (più 3 coristi uguale 15 unità); alcune linee chitarristiche vengono semplificate, ma il risultato -fortemente debitore all’orchestra- non pare risentirne. Eccezionali gli archi, i fiati e le percussioni acustiche (mi viene da sorridere pensando all’elegantissimo Michael Schumm nelle vesti di forsennato headbanger), mentre solo sufficiente il drumming vero e proprio, cruccio di questi ultimi Haggard (lo storico Luz Marsen non mi è piaciuto nemmeno su Tales Of Ithiria). Anche la nuova pianista (di cui ignoro il nome) mi pare più impacciata del glorioso predecessore Hans Wolf; le sue dita girano rapide sulla tastiera e pure la precisione è invidiabile, tuttavia percepisco colori appiattiti ed un’interpretazione fredda e distaccata, nonostante nei numerosi solos partecipi con espressioni corporee molto “sentite” ed accorate. Dal lato vocale gli unici grandi biasimi: il growling di Asis è turbinoso, riverberato e sporco all’inverosimile; sproporzionata l’effettistica ad esso applicata che produce un pastone indistinguibile tra gli echos ad altissima frequenza e la distorsione del vocoder; altro punto di domanda è la consueta (e folkloristica) presenza di Fifi Fuhrmann, relegato ad un ruolo a dir poco ridicolo. L’allegro (in tutti i sensi) tenore (in nessun senso) contribuisce in parte infinitesimale alla riuscita dello spettacolo, ritagliandosi quali unici momenti di gloria la solita, patetica recitazione con le torce infuocate e la superlativa Herr Mannelig. Io francamente non conosco le motivazioni della sua più che decennale militanza negli Haggard, fatto sta che fare da palo per oltre un’ora e mezza di spettacolo mi pare inutile ed indecoroso, tanto per lui quanto la band nella sua totalità. Insomma, pollice verso (in modo diverso) per entrambi i maschietti al microfono. Discorso opposto per il “sesso debole”, guidato da una Susanne Ehlers in forma smaliante e scatenatissima sia dal lato canoro, sia da quello “fisico”. Attacchi perfetti, tenuta dei toni alti, corposità nelle note gravi e -perché no- buonissima presenza scenica, fanno della giovane soprano un’artista completa nonché un’ottima showgirl (purtroppo, data la foga a volte smisurata, anche nel senso negativo del termine). Tecnicamente parlando la prestazione è in assoluto la migliore a cui abbia assistito, passionalmente pure: il suo corpo da sfogo a continue ed eccitanti scosse che catturano sguardo e consensi tra la gente. Con il passare degli anni, e grazie proprio alla Ehlers, le liriche femminili hanno assunto sempre maggiore importanza nell’economia dei brani degli Haggard (su tutti in Eppur Si Muove), così come, grazie al suo talento corporale, in quella del palcoscenico. Cià mi induce a scommettere su di un suo impiego sempre più “frontale” per contrastare l’oscurantismo incipiente del mastermind Asis -a mio avviso in parabola fortemente discendente. Non so se l’ipotesi sia verosimile, ma intanto Su mi è piaciuta! Mi è piaciuta molto! Più tranquilla e posata la scura (nella chioma) Manu a cui sono destinate le porzioni più calde e meno tornite del vocalism “operistico”.
Fatte queste considerazioni non posso certo affermare di aver assistito ad uno show mediocre, anzi… Il concerto è stato gustoso ma, a costo di sembrare antipatico, ribadisco che dagli Haggard si debba pretendere solo ed esclusivamente l’eccellenza. Quella vera, quella che, seduto comodamente sul divano, avrei potuto ammirare rivedendo per l’ennesima volta lo stupendo Awaking The Gods. Una perfezione quasi imbarazzante che però non mi farà mai emozionare quanto una nota vibrata a 20 metri di distanza. Ed è per questo che amo la musica dal vivo.
Intesi? Se sì… alla prossima!
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